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Invito all’InterRail

Trains are red in Switzerland
(by christianmeichtry on Flickr)

Ricordo che quando si scendeva dal treno, alla fine di 25, 27 giorni a zonzo per l’Europa, rimbombava ancora nel cervello il sussulto regolare delle traversine che scandiva le giornate. Ricordo lo stomaco un po’ vuoto, il portafogli leggero, lo zaino pieno di vestiti sporchi, la testa piena di immagini indimenticabili. Ricordo anche la sensazione che a un certo punto si manifestava con certezza: era l’ora di tornare a casa, di immagazzinare l’esperienza appena vissuta, di salutare i compagni del viaggio appena concluso con cui si era condiviso tutto.

Non so se siano tanti i ragazzi che vivono ancora l’esperienza dell’InterRail (o Inter rail). Statistiche e dati non li ho trovati (se qualcuno li ha, è gradito un link nei commenti). Ma l’impressione – parlando con chi ha qualche anno di meno – è che rispetto a dieci anni fa il viaggio in treno che ha segnato generazioni sia sempre meno gettonato, stritolato dai pratici, economici voli low cost, il classico fly and drive, magari nella vicina e comoda Spagna. I miei fratelli non hanno vissuto l’esperienza dell’InterRail. Come non l’hanno vissuta i ragazzi fra 18 e i 25 anni con cui ho avuto occasione di parlare di viaggi. Continua a leggere

Belfast: lungo gli ultimi muri d’Europa

Con la guida davanti a un mural dedicato a Bobby Sands

Viaggio a Belfast

Data del viaggio: 2006

Si chiama ‘peace line’ e c’è una strana, tetra, ironia involontaria nel nome. Perché ricorda tutto fuorché la pace. Muri sormontati da reti, alti, fino a 8 metri e lunghi chilometri dividono le zone repubblicane da quelle protestanti. Per attraversarli ci sono solo piccoli cancelli sorvegliati dalla polizia, che di notte vengono chiusi a chiave. Da una parte e dall’altra ci sono ancora le grate alle finestre per proteggersi dai lanci di oggetti provenienti dall’altra parte del muro. Non si capisce se restino perché la paura non se ne va, perché ce n’è ancora bisogno o semplicemente per abitudine.

In realtà Belfast è così. In molti luoghi  il tempo sembra non passare mai anche se la voglia di voltare pagina, parlando con le persone, è palpabile. Non è più una città sotto occupazione militare e la violenza politica è in gran parte un ricordo, per quanto vivo nella mente di molte persone. Del resto sono ancora decine le persone in carcere. Ma i simboli della divisione sono tutti ben visibili. Il filo spinato continua ad apparire  dappertuto, nessuno lo toglie. Così come sui muri sgretolati si vedono ancora i cupi murales lealisti (alcuni dipinti di recente) pieni di tute mimetiche e armi in pugno. A uno sguardo veloce evocano la violenza molto più dei murales repubblicani, colorati, spirituali e utopici. A una seconda occhiata, più attenta, si nota  che anche i dipinti repubblicani evocano la guerra, ma da un’altra prospettiva, quella del martirio.

peaceline

la peace line

Rispetto a Dublino e al resto d’Irlanda, non sono tanti i viaggiatori e i turisti che visitano  Belfast, che è anche la porta d’ingresso alle struggenti bellezze naturali della costa nord. A Belfast molti si limitano a scattare qualche foto o a fare un paio di foto da un bus a due piani. Ma non si può provare a capire questa città osservandola solo come un museo a cielo aperto, un po’ macabro e pieno di dolore. I famosi murals (murales) sono solo una parte, la più visibile della storia della città. Perpetuano la memoria condivisa, ma non possono raccontare molto, da soli.

A piedi per Belfast con una guida

Se non si ha molto tempo o non si hanno le conoscenze giuste, l’occasione per parlare con qualcuno che ha vissuto in prima persona la travagliata storia dell’Irlanda del nord (e ascoltare così almeno una parte della verità) la offrono i ‘political tours’ di Coiste, associazione di ex prigionieri politici e attivisti che propongono visite a piedi di alcune ore nelle zone repubblicana e unionista della città.

La visita sembra non finire mai. A ogni angolo del quartiere repubblicano di Falls road, povero e depresso, ci sono buchi di proiettile, case, murals, piccoli altari venerati che evocano storie mai dimenticate e relativi fantasmi. In giro, specie nelle strade secondarie, non si vede quasi nessuno. E’ una visita cupa, piena di dolore e violenza che lascia scossi quando, dopo quattro ore di cammino, si arriva al cimitero di Milltown. Qui, in una grande tomba monumentale sono sepolti Bobby Sands e gli altri hunger strikers, i dieci prigionieri dell’Ira che nel 1981 morirono dopo uno sciopero della fame durato oltre due mesi. Tutt’attorno, le case di un quartiere protestante.

Per contattare coiste, il sito è www.coiste.com, email tours@coiste.com

Per saperne di più:

Belfast, gli ultimi muri d’europa

Coiste sul giornale del Sinn Fein

the five demands (blog)

I murals di Belfast

Belfast, una città che rinasce

Belfast murals, Sandy Row

murale lealista, Sandy Row

memorial

Il cimitero di Milltown

pubblicato in: viaggi, strade poco battute

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